Nel dibattito politico italiano quando si parla di flussi migratori il tema unico è quello della presunta invasione dei migranti provenienti dalle coste dell’Africa. Se ne parla sempre con toni di allarme che possono andare dal delirio razzista sul progetto di sostituzione etnica a quello ‘democratico’ della necessità di regolare i flussi perché non c’è posto per tutti e dobbiamo “aiutarli a casa loro”.
Ogni tanto qualche articolo di giornale, specie in occasione della presentazione di uno dei tanti studi sui flussi migratori che interessano il nostro paese, si inquieta sulla partenza di tanti giovani laureati, I famosi “cervelli in fuga”, ma il tutto si limita a questa constatazione e poi si riprende a interessarsi esclusivamente all’invasione che staremmo subendo. La consapevolezza del fatto che in realtà il
saldo tra arrivi e partenze è ormai da diversi anni negativo per l’Italia, che sono di più le persone che lasciano l’Italia di quelle che arrivano e si stabiliscono nel nostro paese, fa fatica a entrare nel dibattito pubblico e nella conoscenza delle persone.
Il tema è totalmente assente dal dibattito politico; nessun partito, né i difensori della “purezza etnica” del nostro paese e della “fine della pacchia”, né i democratici sostenitori di un flusso controllato di migranti si interrogano sui numeri e sulle cause della nuova ondata di emigrazione dal nostro paese. Da anni la fondazione Migrantes e numerosi altri centri di ricerca e singoli studiosi, voci clamanti nel deserto, sottolineano come dal momento dell’esplosione della crisi economica, nel 2008, il numero di chi abbandona il nostro paese abbia ricominciato a crescere raggiungendo cifre non lontane da quelle degli anni Settanta.
Perfino i dati, non sempre attendibili, dell’Aire segnalano la consistenza del fenomeno: gli italiani che vivono all’estero hanno ormai superato la soglia dei 5 milioni (praticamente la quarta/quinta regione d’Italia per popolazione). E questo limitandosi ai dati ‘ufficiali’, visto che negli ultimi anni le ricerche portate avanti sui paesi che maggiormente hanno attratto i nuovi flussi provenienti dall’Italia
(Germania e Inghilterra su tutte) hanno verificato come i dati raccolti delle iscrizioni nei registri di residenza locali siano maggiori anche di quattro volte rispetto a quelli dell’Aire.
“Sembra un paradosso … per cui “ne partono” meno di quanti “ne arrivano” cioè che gli istituti di rilevazione dei paesi di immigrazione registrano un arrivo di italiani di gran lunga superiore a quello
delle partenze (misurate come cancellazioni anagrafiche) fornito dall’Italia” (Enrico Pugliese, Quelli che se ne vanno).
Il caso della Germania è da questo punto di vista eclatante con oltre 274 mila arrivi dall’Italia registrati dall’ufficio statistico federale tedesco nel periodo 2012-2016 di contro ai poco più di 60 mila secondo i dati dell’Istat, ma lo stesso vale per l’Inghilterra (158 mila contro 39 mila) dato di particolare rilevanza anche per quelle che saranno le conseguenze della Brexit).
Per il Belgio non abbiamo ancora ricerche complessive che abbiano verificato sull’intero territorio l’esistenza o meno di uno scarto simile tra i dati Aire e quelli belgi. I lavori in corso, tra i quali il progetto di ricerca lanciato a dicembre dalle Acli Belgio, la Filef nuova emigrazione Belgio e l’asbl EPN, mirano in primo luogo a quantificare in maniera chiara i nuovi flussi migratori, ma anche ad analizzare la composizione della nuova emigrazione italiana e le problematiche che vive nel percorso migratorio in diversi territori del Belgio.
Il saggio sul Belgio del Rapporto Migrantes ha messo bene in evidenza sia la dimensione ‘giovanile’ della nuova emigrazione (circa la metà dei migranti del periodo 2013-2016 appartengono alla fascia di età 20-39 anni) che il ‘destino’ sostanzialmente urbano di questi nuovi flussi (l’area di Bruxelles e, nelle Fiandre, Anversa, Lovanio e Gand).
Nella nostra ricerca, ancora agli inizi, i dati raccolti confermano, per ora, la caratteristica nuova dei flussi successivi allo scoppio della crisi economica che si indirizzano principalmente verso l’area di Bruxelles e alcuni centri urbani delle Fiandre rispetto ai flussi storici dell’emigrazione italiana che privilegiano le aree, urbane e non, della Wallonia. Nel periodo 2014-2017 i dati delle iscrizioni ai comuni segnalano un aumento di 12.000 unità nella circoscrizione di Bruxelles, che copre anche le Fiandre, di contro a un aumento di sole 3000 unità per la Wallonia.
Questo andamento sembra confermare le caratteristiche della nuova ondata migratoria segnalate in gran parte dei lavori di ricerca degli ultimi anni, compreso per il Belgio l’ottimo lavoro fatto dalla
Comune del Belgio nel 2014. In tutti questi studi la dimensione giovanile e il livello di qualificazione dei nuovi emigranti viene confermato, ma in qualche maniera anche ridimensionato. Spesso si tratta di ‘giovani’ (con l’interessante novità di una presenza femminile praticamente paritaria) qualificati, ma questa caratteristica non riguarda l’insieme, né la maggioranza dei nuovi migranti. Se infatti,
come ricorda giustamente Enrico Pugliese nel suo ottimo lavoro “Quelli che se ne vanno”, il 30% dei nuovi emigranti possiedono una laurea, questo significa che il 70% non hanno questa qualificazione.
Lo stesso vale per la caratteristica giovanile segnalata nel saggio del Rapporto Migrantes che copre la metà dei nuovi emigranti.
Sembra essere invece un’altra la caratteristica che rappresenta al meglio questi nuovi flussi: un destino di occupazioni quasi sempre precarie (la nuova “classe del precariato” di cui parla Guy Standing). Ci si muove spinti da varie motivazioni, la ricerca di un lavoro, ma anche il desiderio di vivere esperienze diverse, il sentimento di appartenenza a un’Europa della mobilità, il disappunto e la frustrazione verso l’Italia, considerata un paese ostile ai giovani e dove qualsiasi ascensore sociale è bloccato da lungo tempo. Si arriva in paesi diversi dove si incontrano opportunità maggiori ma sempre caratterizzate dalla precarietà, dalle nuove forme contrattuali ‘creative’ a scapito del lavoratore (dal tempo determinato, ai contratti a zero ore, alle varie forme di cottimo risorgenti). Che si tratti di occupazioni nel mondo dell’Horeca o in quello delle università, fino addirittura nel dorato mondo della bolla europea, la caratteristica riunificante sembra essere ovunque la precarietà.
Questa precarietà, che comunque appare ed è ‘meno precaria’ di quella italiana, diviene a volte ancora più drammatica per la compressione del sistema di welfare che anche il Belgio conosce. Non è casual che il fenomeno delle espulsioni di cittadini europei dal Belgio sia cresciuto negli ultimi anni e abbia interessato in maniera particolare proprio i nostri connazionali.
La ricerca che stiamo conducendo in queste settimane è il tentativo di dare un aggiornamento alla situazione ferma la 2013, raccogliendo dati e interviste su coloro che sono arrivati in Belgio a partire dal
2014. Concretamente vogliamo aggiornare il quadro di riferimento su chi è emigrato in Belgio in questi ultimi anni, valutare le principali problematiche legate al percorso migratorio, esaminare I collegamenti tra le nuove mobilità e le vecchie “catene migratorie”, valutare le principali ragioni che hanno spinto i cittadini italiani a lasciare l’Italia, verificare se e come questi nuovi emigrati si sono inseriti nel mondo del lavoro (o dell’istruzione) belga. Un’altra questione che vorremmo cercare di definire meglio è quella dell’autorappresentazione dei nuovi emigranti: si considerano realmente emigranti, più o meno in maniera definitiva, oppure la loro scelta avviene all’interno di un’idea di
mobilità transitoria, di cittadinanza europea (cioè con una percezione dell’Europa molto più avanzata sia delle istituzioni europee stesse che del sovranismo nazionalista che politicamente dilaga in numerosi paesi europei e non solo).
Infine, last but not least, crediamo anche che non si discuta delle macro cause delle migrazioni.
Abbiamo parlato di ragioni economiche e della precarietà del lavoro. Ma quali sono le dinamiche intercontinentali alla base di tutto ciò?
Non abbiamo il tempo per essere esaustivi, ma crediamo che lo sviluppo economico diseguale all’interno delle varie aree geografiche interne all’area europea e tra Europa e Africa siano alla base
delle migrazioni epocali.
Inoltre, all’interno dei sistemi economici nazionali, le migrazioni vengono utilizzate per aumentare il profitto generale delle imprese e per contenere le dinamiche salariali.
Questo perché la risposta dei corpi intermedi (sindacati, partiti società civile) non è quella della ricomposizione del fronte dei lavoratori (come avvenuto negli anni 60 e 70, cercando di estendere gli stessi diritti e salari agli emigrati), ma hanno cercato una protezione corporativa dei lavoratori autoctoni.
Stessa cosa dicasi sulle ragioni macro delle emigrazioni dall’Africa e in misura minore dallAsia: troppo poco si ragiona sul depredamento delle imprese occidentali, Italia compresa, delle risorse naturali di quei paesi e del sistema di corruzione che si alimenta per poter continuare a sfruttarli.